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Analisi:

Superbonus 110%



L'ISTAT determina, periodicamente, quelle che sono definite come “tavole Input-Output”, basate sul lavoro dell'economista Leontief del 1941, e usate per rappresentare in maniera efficace l'interoperabilità economica delle varie industrie in uno Stato.

Questa tavole permettono di determinare i settori collegati che direttamente e indirettamente interagiscono con un dato settore, come ad esempio, quello edile e delle costruzioni.

Sulla base delle tavole di Leontief è possibile fare analisi di impatto, come quelle realizzate dal CNI (Consiglio Nazionale degli Ingegneri) e dalla FNC (Fondazione Nazionale Commercialisti) per stimare gli effetti a cascata dei vari bonus edilizi. Nello specifico queste analisi distinguono tra un:

  • Effetto Diretto, che riguarda il settore delle costruzioni propriamente detto, in cui oltre l'85 % delle aziende operanti fanno parte della stessa branca economica ISTAT.
  • Effetto Indiretto, che nel caso specifico dei bonus edilizi, riguarda principalmente i settori Bancario e Assicurativo e il settore professionale (comprendente: avvocati e geologi; ingegneri, architetti, geometri) e quello della consulenza.
  • Effetto Indotto, che riguarda la maggior occupazione e la conseguente maggior spesa, in consumi e in investimenti, di quanti beneficiano degli effetti espansivi della misura.

Nomisma[1] sui dati del CNI ha stimato che:

  • 56.1 mld €, come valore economico, sono stati generati direttamente dal Superbonus 110 %;
  • 25.3 mld €, come valore economico, sono stati generati indirettamente dal Superbonus 110 %;
  • 43.4 mld €, come valore economico, sono stati generati dall'indotto creato dal Superbonus 110 %;

Per un totale di 124.8 mld € di valore economico totale, generati a fronte di un investimento pubblico statale di 38.7 mld €.

Recentemente l'ENEA ha aggiornato i dati relativi al controvalore delle detrazioni edilizie in essere, registrando un onere a carico dello Stato pari a 71.7 mld €, 10 mld in più rispetto ai 61 mld citati dalle testate giornalistiche in questi giorni.

E così anche Nomisma[2] ha aggiornato l'effetto di impatto che la misura ha avuto sull'economia in aggregato, con:

  • 87.7 mld € generati direttamente dal Superbonus 110 %;
  • 39.6 mld € generati indirettamente dal Superbonus 110 %;
  • 67.8 mld € generati dall'indotto creato dal Superbonus.

Per un totale di 195.2 mld € di valore economico totale, generati a fronte di un investimento pubblico statale di 71.7 mld €.


Per quanto riguarda la ripartizione del valore economico tra settori diretti, indiretti e indotto, la FNC non stima dei valori effettivi, ma si limita a calcolare dei moltiplicatori, pari a:

  • 1.637 per l'effetto diretto dei settori connessi
  • 0.655 per l'effetto indiretto dei settori connessi
  • 1.221 per l'effetto spesa delle famiglie lavoratrici coinvolte.

Questa stima è calcolata per mezzo di uno studio di fine 2015 dell'ANCE, che usa i dati ISTAT per determinare l'interoperabilità dei settori economici connessi a quello edile.

Nello specifico, lo studio fa presente come solo il 4.2 % degli acquisti sia importato, mentre nel 95.8 %, la produzione di beni e servizi è interna al settore stesso delle costruzioni. Tale dettaglio spiegherebbe il perché di un moltiplicatore così basso sia per l'effetto diretto stimato dalla FNC, sia per quello indiretto; dal momento che ANCE e, dunque, Nomisma giungono alla determinazione di un moltiplicatore pari o superiore a 2.1 .

Personalmente ritengo tutti questi studi dei meri esercizi statistici, dal momento che nessuno degli enti che ha effettuato l'analisi ha colto la particolarità della misura: il risconto bancario, pari all'8 % per le famiglie private e al 10% per le imprese.

È infatti il settore degli intermediari finanziari quello che si trova ad operare, maggiormente, col bonus in vigore: la cessione del credito è pro-soluto e ciò impegna la banca ad analizzare il credito in essere e la credibilità del cedente (l'impresa appaltatrice).

Non solo: una cosa che gli studi di Nomisma e della FNC ignorano è la mole interventi e di prodotti finanziari necessari ad avviare un cantiere, tra fideiussioni bancarie e assunzione dei rischi edili tramite l'emissione – da parte delle compagnie assicuratrici – di una polizza CAR (Contractor's All Risk) per gli appalti, e di una polizza decennale postuma per l'opera, entrambe obbligatorie.

Se si considera anche tutto il lavoro preliminare portato avanti dai professionisti del settore, tra geologi e ingegneri asseveratori iscritti agli appositi albi (ricordiamo che il Superbonus 110 %, per essere concesso, deve riguardare interventi strutturali tali da garantire un miglioramento dell'efficienza energetica dell'immobile di almeno due classi), è chiaro che gli effetti indiretti sono cospicui, rendendo quello delle costruzioni edili un settore economico trainante.

È in questa prospettiva che vanno lette le notizie, passate più o meno in sordina (ma riportata dalla stampa specializzata, a fine dicembre 2021), di nuovi accordi tra banche e società consulenziali (come quelli tra Unicredit e PWC; tra BNL e EY; tra Banco BPM e Protos; tra Intesa San Paolo e Deloitte), oltre a quelli già stipulati, a inizio 2020, tra le stesse società di consulenza e le compagnie di assicurazione (come quello tra Unipol e KPMG o tra Generali e Deloitte). In questi casi, le compagnie di consulenza offrono servizi, di tipo ingegneristico e di compliance, sia per evitare problemi su truffe e antiriciclaggio (che le statistiche ci ricordano essere minime: inferiori al 3 % del totale e imputabili, quasi interamente, al Bonus facciate e all'Ecobonus), sia per verificare che i capitolati di spesa e le asseverazioni professionali siano veritiere e coerenti.

Il risultato è nuova occupazione nel settore, tra servizi legali e di due diligence; servizi commerciali e tecnici.


Sinceramente non credo che i dati ANCE–Nomisma tengano accuratamente conto di tutto il peso che il settore indiretto produce, nel calcolo del moltiplicatore, poiché probabilmente considerano solo quel 15 % scarso di aziende edili e di subfornitura che hanno sì rapporti con il settore delle costruzioni (per lavori relativi al Superbonus 110 %), ma che in realtà forniscono un apporto marginale al mercato (tramite somministrazione di Input).

Per tutte queste ragioni:

  • il margine netto delle banche pari al risconto dell'8-10%, che le incentiva a concedere credito;
  • l'indotto commerciale e finanziario di tutti i professionisti coinvolti nella realizzazione dei lavori, fortemente sottovalutato nelle analisi d'impatto;
  • la necessità del ricorso a figure professionali terze per l'esecuzione dei lavori e l'obbligatorietà all'acquisto di determinati prodotti finanziari;

ritengo che la stima di un moltiplicatore per gli effetti indiretti pari a 0.655 e, quindi nei fatti, demoltiplicativo (ricordiamo che se il moltiplicatore è < 1, matematicamente, riduce l'apporto finanziario all'espansione degli impieghi), sia semplicemente irrealistica.

Come minimo, mi aspetterei moltiplicatori superiori a 1 per tutti e tre gli effetti: diretti, indiretti e dell'indotto; cosa che porterebbe ad un moltiplicatore aggregato pari o superiore a 3 (come sostenuto, a luglio 2022, da uno studio della CNA, la Confederazione Nazionale dell'Artigianato e delle PMI).

Anche il rapporto della FNC commenta che quello ottenuto dall'ANCE e dal CNI, pari a 2.1, è un moltiplicatore prudenziale.

Secondo il rapporto FNC, la società Nomisma – alla presentazione del suo studio presso l'ANCE Emilia – ha impiegato, nei propri calcoli, un moltiplicatore pari a 3.2 per stimare gli effetti aggregati diretti, indiretti e dell'indotto per un euro di spesa statale sul Superbonus. Stima già più realistica di quella conservativa applicata dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri e, in tempi più recenti, dal Ministero dell'Economia e delle Finanze.

Per quanto riguarda l'aspetto fiscale, il rapporto FNC stima un ritorno fiscale del 43.1 % sulla spesa totale generata dalla misura (tra tassazione diretta e indiretta) che non dovrebbe far lamentare troppo i detrattori per quanto riguarda la tenuta dei conti pubblici.

Nello specifico, mi riferisco ad un articolo di Giuseppe Pisauro[3] presidente dell'UPB, (l'Ufficio Parlamentare di Bilancio) che sentenzia, argomentando in maniera abbastanza capziosa, che i 170'000 interventi effettuati entro maggio (l'articolo è di giugno 2022), corrispondenti – a detta dell'autore – a poco più dell'1% delle abitazioni unifamiliari e condomini (in realtà è oltre il 2 % delle stesso gruppo di unità immobiliari) abbia comportato una spesa di 30 miliardi.

Il ragionamento dell'autore è che, in proporzione, servirebbero 2000 mld € per coprire l'intero patrimonio immobiliare italiano esistente.

Questo ragionamento lo riporto non solo per dimostrare l'errore di falsa induzione a cui il presidente del UPD giunge, ma anche per spiegare un problema intrinseco del Superbonus riguardante la domanda e l'offerta di adesione alla pratica.

Innanzitutto, secondo l'art. 49 del DPR 380/2001 (il c.d. “Testo Unico per l'Edilizia”) solo gli immobili scevri da abusi edilizi possono beneficiare delle agevolazioni fiscali (incluso il Superbonus e tutti gli altri Bonus “trainati” dalle opere ad esso collegate). Ciò significa – in base ai dati del rapporto BES del 2021[4] – che (in media) il 28.2 % delle costruzioni totali al Sud; il 12.1 % delle costruzioni totali al Centro; e il 4.1 % delle costruzioni totali al Nord, tutte abusive, non possono beneficiare di alcun bonus fiscale, Superbonus o meno che sia.

Non solo: la normativa esclude anche tutti gli abusi edilizi intervenuti in seguito (come può essere, per esempio, un muro della cucina abbattuto e spostato, senza che sia stata fatta richiesta al comune dove l'immobile è ubicato), al punto da richiedere nel 2021 la distinzione normativa tra edifici “totalmente abusivi” ed edifici “sanabili”, tali da permettere il ricorso al Superbonus per mezzo di una autodenuncia del proprietario (si veda a riguardo, la normativa del CILA Superbonus, la Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata, introdotta con il “Decreto Semplificazioni”).

Il rapporto BES non riporta – per ovvie ragioni – una stima degli immobili costruiti regolarmente e soggetti, successivamente, ad abuso edilizio; tuttavia, dal momento che il governo ha sentito l'esigenza di trovare un compromesso per il tramite dei CILAs, è chiaro come tale problematica sia tuttora diffusa.

Se anche solo gli immobili con abusi edilizi sopravvenuti e non sanabili fossero il 20 % medio a livello nazionale (percentuale identica al 20 % medio, a livello Italia, degli immobili costruiti abusivamente), allora, la percentuale di immobili che avrebbero potuto richiedere il Superbonus (con riferimento al 2021) sarebbe risultata pari al 64 % del totale esistente (ossia l'80 % sanabile, di un 80 % non abusivo).

Già solo questo basterebbe a dimostrare come le stime del Pisauro fossero del tutto irrealistiche, dal momento che ho praticamente già dimezzato – con una semplice stima statistica spannometrica – il peso teorico della misura, dai 2000 mld di euro stimati a poco più di 1200 mld effettivamente conseguibili.

Stime così facilmente confutabili non solo paiono essere del tutto campate per aria, per un osservatore esterno; ma tradiscono anche una certa ignoranza, in materia, dei proponenti.

Per gettare altra benzina sul fuoco, faccio sommessamente notare che occorre anche tenere in debita considerazione quelle che sono le condizioni di accesso al mercato del Superbonus, da parte della domanda e da parte dell'offerta.

Nello specifico:

  • Per quanto riguarda la domanda, non è detto che le famiglie richiedano di effettuare i lavori col Superbonus, e questo, per una serie di motivi:
    • (1) il fatto che, comunque, il condominio o il proprietario di immobile residenziale unifamiliare debbano cercare “autonomamente”, sul mercato, un professionista per avviare i lavori (il che si configura come vero e proprio disincentivo tecnico all'avvio dei cantieri);
    • (2) il fatto che i condomini di recente costruzione o recentemente ristrutturati non siano in grado di garantire il salto di due classi energetiche, richiesto dalla normativa;
    • (3) il fatto che alcuni condòmini abbiano fatto, nel proprio alloggio, lavori atti a determinare un abuso edilizio non sanabile, inficiando la richiesta con CILAs e rischiando di andare incontro a contenziosi con gli altri condòmini in regola.
  • Per quanto riguarda l'offerta, banche e compagni assicuratrici hanno ben presto iniziato ad ignorare le richieste generiche provenienti da proprietari di immobili unifamiliari (le villette) per via del loro basso valore commerciale (se paragonati al controvalore pari almeno ad un paio di milioni di un condominio) e per l'elevato costo computazionale che una pratica di questo tipo avrebbe comportato tra asseveratori e consulenti. Ciò ha spinto i grandi gruppi (Unicredit, Intesa, Unipol e Generali) a concentrarsi sui condomini anche e soprattutto per il fatto che, in caso di abuso edilizio sanabile, è il singolo a dover provvedere al ripristino dello stato legittimo dell'appartamento, riducendo così i rischi che lo Stato non approvi il pagamento del credito ceduto (si leggano, tra gli altri, una serie di articoli comparsi nel mese di giugno 2022 sul Sole 24 Ore Plus e, recentemente, nella sezione NT+ Fisco).

Questo significa che il pool di coloro che avrebbero potuto richiedere il Superbonus e di coloro ai quali la richiesta di accesso al Superbonus sarebbe stata accettata dagli intermediari finanziari, era realisticamente più ristretta di quanto ipotizzato dal Pisauro o dai Governi Draghi–Meloni, che hanno prima limitato e poi soppresso la misura, dopo che le banche si erano adeguate con i risconti e le imprese edili si erano adeguate con gli approvvigionamenti.


Il punto è allora il seguente: perché un bonus che, nella peggiore delle ipotesi[5], genera 3 euro di espansione economica per ogni 1 euro investito e per il quale lo Stato recupera subito 43 centesimi di gettito fiscale, dovrebbe essere avversato in questo modo?

La risposta a questa domanda retorica deriva dal meccanismo di offerta che il Superbonus crea e nelle conseguenze finanziarie che tale meccanismo comporta.

Innanzitutto occorre capire che a pagare è, in ultima istanza lo Stato e questo non è necessariamente un male. Poiché paga, appunto, in ultima istanza. E solo se le condizioni lo consentono. Vi sono quindi forti vincoli sia nel an sia nel quantum, mentre è assodato che il primo soggetto ad anticipare l'uscita monetaria, ricevuta la documentazione richiesta dall'azienda appaltatrice, è la banca riscontatrice.

L'efficacia del Superbonus, dunque, sta tutta nel ruolo giocato da questo intermediario finanziario: la banca guadagna l'8 % circa da ogni contratto fiscale concluso; ciò è di per sé un incentivo alla concessione del credito, che rappresenta un'espansione delle risorse disponibili nel sistema economico. Con tale espansione del credito si dà il via ai lavori su un immobile che funge da sottostante; vengono pagati i materiali e le maestranze e ciò determina una spirale virtuosa di espansione sia dei consumi, sia dell'occupazione. Si tratta, dunque, di un provvedimento economico di stampo puramente keynesiano a sostegno della domanda aggregata.

Per quanto riguarda l'impresa appaltatrice privata, questa opera tramite la regolamentazione pubblica, sottostando alle regole definite dallo Stato stesso: è quindi una forma di “lavoro pubblico indiretto”, limitato al Superbonus 110 % e ai lavori trainati, per mezzo del quale si combina la diffusione capillare delle diverse imprese edili sparse sul territorio, con l'efficienza della programmazione centralizzata (in effetti sono solo pochi colossi ad occuparsi della cessione del credito e delle garanzie sottostanti: per quelle pubbliche occorre citare SACE e Poste Italiane; per quelle private occorre citare i colossi Intesa, Unicredit, BPM e le grosse compagnie di assicurazione, come Generali e Unipol. Una decina di soggetti che regolano il settore ai quali, secondo un articolo di Idealista di giugno 2022 (“Cessione del credito superbonus, quali banche lo accettano ancora”) si aggiungevano una ventina di intermediari finanziari).

Per quanto riguarda l'esecuzione materiale, alla fine del processo costruttivo e, ogni volta, per gli avanzamenti dei lavori effettuati, lo Stato paga, finanziandosi – idealmente – tramite l'emissione di titoli del debito. Tale debito è economicamente sostenibile, dal momento che è più che compensato, al denominatore, dall'espansione economica della misura. Il che, in prima battuta, non determina necessariamente un peggioramento del rapporto Debito÷PIL.

Nella pratica, le banche che hanno anticipato l'uscita monetaria tramite l'espansione del credito, possono riacquistare il debito pubblico emesso dello Stato, rifinanziandolo, e finendo con il gonfiare artificialmente il proprio attivo di bilancio.

Si crea così un sistema circolare virtuoso: la banca emette credito per guadagnare, in Conto Economico, un margine minimo dell'8 % sul risconto nominale delle detrazioni. Lo Stato compensa questa anticipazione e si finanzia sul mercato. La banca compra sul mercato i titoli del debito pubblico statale, rifinanziandolo; parte del gettito fiscale viene recuperato a monte, mentre l'espansione del reddito nazionale e la presenza del sottostante immobiliare rende stabile l'economia, che continua a crescere. La misura si alimenta da sola, fino al limite ultimo delle richieste (la domanda di accesso al Superbonus da parte dei privati, di cui si è discusso sopra) che rappresenta il plateau finanziario. Questo limite, impedisce la creazione di bolle finanziarie, calmando le aspettative del mercato.

D'altra parte gli effetti espansivi ed occupazionali sono evidenti dal momento che è la stessa ISTAT a certificare – nel biennio 2020 e 2021 – come l'aumento del PIL sia quasi del tutto imputabile al solo settore edile e al mercato delle costruzioni.


Resta il problema degli effetti inflativi che tale manovra può alimentare.

Nella pratica, chi conosce il settore sa quanto il nero sia imperante; se guardassimo al settore degli appalti pubblici in periodo pre-Covid e per-Superbonus, ci accorgeremmo che gli aggiudicatari vincono sempre con forti sconti, pari al 40 % medio sul valore dell'opera da realizzare. Ribassi estremi, dettati da due situazioni contingenti:

  • una generale tendenza a depotenziare i materiali impiegati nelle costruzioni (entro i limiti dell'asseverazione ingegneristica);
  • l'assunzione irregolare delle maestranze, pagate con un ampio ricorso al nero e al fuoribusta.

Con il Superbonus ciò non è stato più possibile: l'asseverazione degli uffici finanziari statali ha imposto che i lavori venissero fatti seguendo alla precisione i capitolati e i costi per computo metrico. D'altra parte, il settore è calmierato, dal momento che i prezzi del mercato edile sono fissati dal Prezzario di Milano e da quello DEI.

Nel concreto, per come era stato regolato il provvedimento, non potevano esserci effetti inflativo da domanda dei materiali (prezzi calmierati), né da eccesso di adesioni (i pagamenti avvengono per stato di avanzamento lavori: ciò determina un limite al numero di cantieri apribili simultaneamente). Di fatto, l'inflazione misurata è quasi del tutta imputabile all'emersione del nero cosa che, a cascata, ha comportato l'adeguamento dei listini a prezzi di mercato più realisitici per paese del G20.

È evidente dunque che sia dal punto di vista finanziario, sia dal punto di vista economico-inflativo, che i vantaggi del Superbonus 110 % più che compensano gli eventuali svantaggi.

Risulterà quindi evidente al lettore che le critiche al provvedimento portate avanti dal Governo Draghi prima e dal Governo Meloni poi non possono basarsi su una questione economica, quanto piuttosto per una problematica politica: il Superbonus è Moneta Fiscale di fatto e questo a seguito di un'interpretazione estensiva, da parte dell'AdE, alle norme che regolavano la misura, già a metà 2020.


Il Ruolo della Moneta Fiscale

La Moneta Fiscale è, generalmente, ogni titolo di credito atto a estinguere l'obbligazione tributaria statale. In termini spiccioli, non è altro che uno “sconto sulle tasse”.

Renderlo liberamente cedibile, significa rendere cedibile, sul mercato, la possibilità di scontare le tasse future che il proprietario del titolo dovrebbe pagare allo Stato. Ed essendo le tasse pagate in termini pecuniari, la Moneta Fiscale è sostitutiva del denaro contante, pur non essendo Moneta Legale, come ad esempio lo è l'Euro.

Giù da questa definizione è evidente che un Superbonus 110 senza sconto fiscale, sarebbe un Superbonus ad esclusivo appannaggio dei ricchi, dal momento che è l'unico ceto sociale i cui redditi sono tali da permettere di sostenere – nei cinque anni ai quali la misura si riferisce – le detrazioni nella loro interezza.

La piena cedibilità del credito è condizione necessaria per rendere la misura erga omnes, ad appannaggio di tutti e non solo del ceto benestante o altolocato; ridurlo o sopprimerlo, come hanno fatto i Governi Draghi e Meloni, è semplicemente sciocco ed estremamente ingenuo, dal momento che si finisce col foraggiare le disuguaglianze sociali preesistenti.

Chiaramente, la creazione e successiva diffusione di un sistema di Moneta Fiscale crea un sistema parallelo alla diffusione della Moneta Legale che, in Italia, è appannaggio esclusivo della BCE e del suo SEBC (Sistema Europeo delle Banche Centrali, di cui fa parte anche Banca d'Italia). Questo creerebbe un grimaldello, in mano allo stato Italiano, da poter usare per un eventuale uscita del paese dall'Unione Europea o per creare un sistema parallelo alla moneta unica, deregolato e indipendente.

Ed è proprio su queste basi che si poggia la critica di Draghi al Superbonus, dal momento che storicamente si era già espresso contro ogni tipo di apertura alla Moneta Fiscale («è valuta illegale o debito», giugno 2019[6]) nelle vesti di Governatore della BCE.

In realtà il Draghi Governatore non solo sbaglia, ma è stato anche recentemente smentito dall'Eurostat, almeno per quanto riguarda la contabilizzazione, nel bilancio pubblico, della Moneta Fiscale emessa come detrazione fiscale.

Dal punto di vista contabile, l'onere a carico dello Stato che il Superbonus determina non è debito pubblico, bensì deficit pubblico e la differenza non è di poco conto:

  • il debito pubblico, per sua natura, è una grandezza stock: un fondo che si accumula nel tempo e che dovrà successivamente essere estinto;
  • il deficit pubblico, per sua natura, è un flusso finanziario riferito ad un particolare anno.

La questione politica, che coinvolge il Governo, l'ISTAT e l'Eurostat, sta tutta in questa semplice distinzione: nel 2020, quando è stata introdotta la misura, l'ISTAT ha, in via precauzionale, deciso di imputare pro-quota l'onere delle detrazioni sorte nell'anno. Ciò ha determinato un ripartizione del carico fiscale (minor gettito) sui cinque anni nei quali la misura produce i suoi effetti.

L'Eurostat, recentemente, ha fornito un'interpretazione autentica e ha imposto all'ISTAT di ricontabilizzare il tutto, imputando l'onere statale, nella sua interezza, all'anno in cui l'onere è sorto.

Questa sottigliezza contabile tra “deficit pagabile” e “deficit non pagabile” ha comportato la rideterminazione degli Obiettivi Programmatici di Bilancio, dal momento che è aumentata la capacità di spesa in deficit del Governo attuale ed è diminuita – retroattivamente – la capacità di spesa in deficit dei Governi precedenti.

In termini più semplici, il Governo Meloni ha soppresso il Superbonus 110 % sia per avere più spazio di manovra in deficit che, alle regole attuali, le sarebbe stato tolto, sia per consentirle di partecipare alla discussione sul nuovo Patto di Stabilità europeo in una posizione più “neutra” (politicamente parlando). Il costo di una tale scelta è la recessione economica (ricordiamo che l'ISTAT ha imputato il rimbalzo economico precedente al solo settore edile) e l'aumento della disoccupazione.

Paradossalmente, il Governo Meloni è l'unico governo della storia recente che sia riuscito, simultaneamente, ha determinare una risposta forte e avversa, sia da parte dei sindacati, sia da parte delle associazioni datoriali del settore edile.


Per concludere, ritengo che il Superbonus 110 % sia una misura sicuramente espansiva per l'economia reale e altrettanto sicuramente foriera di criticità.

Per quanto riguarda l'analisi degli studi a disposizione e degli articoli della stampa specializzata in merito, gli effetti espansivi del provvedimento sono, come minimo, sottovalutati mentre è sopravvalutata l'efficacia inflativa della misura sul settore edile.

Ritengo che non ci siano ragioni di natura tecnica per sopprimerlo – dal momento che il finanziamento della misura, il recupero del gettito prodotto e l'incremento di occupazione e consumi hanno un bilancio positivo per lo Stato – ma solo di natura politica (interna ed europea).

I problemi normativi e regolatori citati più volte dalla stampa padronale sono in larga parte capziosi; e, in ogni caso, non mi pare sia nulla che non sia risolvibile tramite normativa secondaria.

Quello del Superbonus è un provvedimento ad ampio raggio e ad ampio respiro, i cui effetti si sarebbero iniziati a vedere, al più presto, dopo almeno cinque anni dalla sua introduzione (avvenuta a maggio 2020) e troppo presto riformato (dal Governo Draghi con il blocco alla cessione del credito) e abrogato (dal Governo Meloni sulla base di esigenze contabili di razionalizzazione della finanza pubblica).

È sicuramente un peccato e un monito per il futuro: difficilmente il settore edile tornerà a essere trainante per il PIL italiano come lo è stato nel 2021, proprio per questa abolizione netta avvenuta entro il primo trimestre dell'anno in corso.

Il fatto che la misura sia un'esemplificazione concreta dell'uso della Moneta Fiscale in economia, lo rende uno strumento pionieristico, il primo di una lunga serie ai quali, in futuro, si dovrà sicuramente ricorrere. Con buona pace del mainstream economico europeo.


BIBLIOGRAFIA:

[1] Nomisma: «Studio Nomisma per Ance Emilia», 2022.07.15
[2] Nomisma: «Studio 110 % Monitor», 2023.02.21
[3] G. Pisauro: «Un Superbonus distorsivo e poco sostenibile», 2022.06.29, Il Fatto Quotidiano
[4] ISTAT: «Rapporto Benessere Equo Sostenibili in Italia», 2022.04.21
[5] FNC: «L'Impatto Economico del Superbonus 110 %», 2022.12.22
[6] BCE: «Conferenza Stampa», 2019.06.06


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Pub: 02 Mar 2023 18:13 UTC
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